In questa prima Domenica di Quaresima vogliamo riflettere sulla situazione nel Sahel, territorio dell’Africa subsahariana, ed in particolare negli stati del Mali, del Niger e del Burkina Faso, che negli ultimi anni vivono un periodo di guerra civile, instabilità politica e grande povertà.
François Paul Ramde, coordinatore dell’Union Fraternelle des Croyants de Dori – Burkina Faso, ci ha scritto questa lettera:
Buongiorno cari amici,
Mi chiamo François Paul RAMDE. Sono il coordinatore dell’ONG nazionale “Union Fraternelle des Croyants de Dori (UFC-Dori)”.
La missione dell’UFC-Dori è promuovere il dialogo interreligioso e interculturale per la pace e lo sviluppo in Burkina Faso.
L’area di impegno dell’UFC-Dori è la regione del Sahel del Burkina Faso, che fa interamente parte della zona delle tre frontiere (Mali, Niger e Burkina Faso).
Vi ringrazio per l’opportunità che mi date di inviarvi questo messaggio.
Per cominciare: il primo atto terroristico è avvenuto il 4 aprile 2015, quando un cittadino rumeno è stato rapito nel nord del Burkina Faso da un gruppo jihadista alleato di Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM).
Da allora, purtroppo, gran parte del Paese è passata gradualmente sotto l’influenza dei terroristi, con attacchi di ogni tipo nonostante gli sforzi compiuti per prevenire il terrore.
Oggi la mobilità è fortemente limitata in quasi tutte le zone settentrionali, occidentali e orientali del Paese.
Al 31.03.2023, c’erano più di 2.062.534 sfollati interni a causa degli attacchi terroristici. Oltre l’82% di questi sfollati sono donne e bambini che si trovano ad affrontare emergenze umanitarie.
Potersi recare presso queste popolazioni vulnerabili è talvolta molto difficile. Diverse aree rimangono inaccessibili e alcune località possono essere raggiunte solo da convogli militari. Un esempio è la città di Dori, dove ci troviamo noi. Nonostante sia un capoluogo di regione, la strada per Ouagadougou è interrotta. Si può viaggiare solo con i convogli militari e gli attacchi terroristici continuano a verificarsi. Succede nella maggior parte della regione del Sahel, che risulta bloccata. Si pone la spinosa questione dei rifornimenti. Il prezzo dei beni, quando esistono, in queste aree è salito alle stelle. Il carburante necessario per operare arriva tramite convogli che però sono poco frequenti.
Oltre a questa situazione, va detto che il Burkina sta vivendo un’instabilità istituzionale dal 2022. Due (02) putsch militari nell’arco di 8 mesi (il 23.01 e il 30.09.2022).
Naturalmente, questa instabilità istituzionale non ha facilitato la lotta all’estremismo violento e talvolta si spiega essa stessa proprio con la mancanza di risultati nella riconquista del territorio e nella lotta al terrorismo.
Gli sviluppi a livello regionale (cioè tutti gli Stati della regione saheliana) sono oggi un aspetto da tenere molto presente. Il 16 settembre 2023 è stato concluso un patto di mutua difesa tra Mali, Niger e Burkina Faso, che ora formano l’Alleanza degli Stati del Sahel. Domenica 28 gennaio 2024, questi Paesi dell’ESA hanno lasciato collettivamente l’ECOWAS.
Tutti questi eventi si sono verificati perché, in parte, le varie forme di sostegno sperate dal raggruppamento regionale dell’ECOWAS non si sono concretizzate.
In breve, la crisi di sicurezza con il suo corollario umanitario nel Sahel sembra essere una crisi dimenticata dalla comunità internazionale. Eppure le conseguenze gravi e durature sono visibili e vissute dalle popolazioni, rendendole ancora più vulnerabili.
È in questo contesto che l’Union Fraternelle des Croyants di Dori continua a svolgere il suo lavoro, grazie al costante sostegno dei suoi partner, come voi. Vorrei cogliere l’occasione per esprimere la gratitudine delle tante famiglie che hanno beneficiato del nostro lavoro sul campo.
Le varie forme di sostegno ci hanno permesso di continuare il nostro lavoro di supporto alle comunità locali, sfollate o meno, e di dare un contributo importante alla ricostruzione della loro capacità di recupero.
Tuttavia, c’è ancora una grande preoccupazione: la sensazione che non molte persone siano interessate alla crisi del Sahel. Per quasi 10 anni i nostri Paesi hanno combattuto il terrorismo, che purtroppo continua a diffondersi. Forse è proprio questa situazione che spinge alcuni Paesi a riconsiderare le loro alleanze strategiche, anche se non è necessariamente la formula giusta.
La nostra speranza è che questa crisi nell’area dei 3 confini venga affrontata in modo adeguato e, soprattutto, che possa beneficiare di un sostegno sostanziale, nonostante la situazione in questi Paesi si stia deteriorando.
È sempre possibile aiutare queste popolazioni permettendoci di continuare il nostro lavoro al loro fianco. In questo modo, possiamo continuare a lavorare per affrontare le sfide presenti e future della nostra regione. Dobbiamo quindi continuare a impegnarci per:
– una necessaria ricostruzione della fiducia reciproca nei nostri spazi di vita, nei nostri villaggi. Durante le nostre attività nei villaggi accessibili, sentiamo regolarmente dire: “Non sappiamo più chi è chi”. In altre parole, nessuno si fida di nessuno, nemmeno all’interno di alcune famiglie. Le persone sospettano l’una dell’altra. Il terrorismo è diventato endogeno e purtroppo è nutrito dal reclutamento interno. Ciò si spiega con alcune rappresaglie subite nelle comunità. I gruppi terroristici hanno soggiogato le comunità e hanno contribuito alle tensioni intercomunitarie, alla stigmatizzazione e all’isolazionismo che il Burkina Faso sta affrontando.
È quindi urgente affrontare subito questo problema.
Per il momento, a nostro avviso, le varie autorità non stanno ancora affrontando questa sfida con l’urgenza che merita. Siamo convinti che la guerra si vincerà solo nei cuori e nelle menti.
– Attuare con urgenza strategie di sostegno psicosociale: un’altra sfida è come lavorare per una migliore assistenza alle vittime di attacchi terroristici o dell’insicurezza in generale. Il supporto psicosociale è diventato un’emergenza sanitaria nelle nostre comunità, per aiutare le persone a disinnescare la pressione a cui sono sottoposte. La sfida che i nostri Paesi, afflitti da attacchi terroristici, devono affrontare è che se non si fa nulla, avremo un’altra categoria di cittadini che subiranno le conseguenze dell’attuale clima di insicurezza. Questo non può che essere dannoso per una reale ricostruzione della nostra vita comunitaria e per una coesione sociale duratura.
– Rafforzare le azioni a favore delle emergenze umanitarie, ma sì, anche agire con forza nei settori dello sviluppo e della pace: nelle zone colpite dall’insicurezza si osserva che le emergenze umanitarie sono una priorità. Ma crediamo che questi attori umanitari debbano anche convincersi che il Nexus HDP (Humanitaire-Developpement-Paix: il lagame tra interventi umanitari, sviluppo e pace) ha le sue esigenze. La nostra osservazione attuale è che gli attori dello sviluppo si stanno sempre più ritirando dalle nostre aree e sono sempre più coinvolti negli aiuti umanitari. Riteniamo che sia necessario intervenire in tutti e tre questi ambiti per spezzare il circolo vizioso della dipendenza creato dal sostegno puramente umanitario.
Siamo convinti che “il domani sarà migliore, e insieme possiamo realizzarlo”.
Vi ringraziamo per l’opportunità di parlare della nostra situazione nel Sahel e contiamo sul vostro aiuto in futuro.
Dio vi benedica tutti!
Maggiori informazioni sull’UFC-Dori sul loro sito (in francese): https://www.ufc-dori.org/
Alcuni progetti dell’UFC-Dori sono finanziati dall’Associazione Pozzo di Giacobbe di Merano: https://pozzodigiacobbe.jimdofree.com/